Infoaut ha tradotto questo interessante editoriale che apre il numero 17 di Notes From Below dall’evocativo titolo «In and Against the Union» (Dentro e contro il sindacato). Il numero tratta il recente ed inedito ciclo di scioperi che ha coinvolto la Gran Bretagna con la giusta dose di realismo, ma sottolineando le possibilità e le tendenze che si aprono in questa nuova fase. Nel numero sono presenti le testimonianze e le riflessioni di diversi/e lavoratori e lavoratrici dei settori in sciopero di cui consigliamo la lettura anche se in lingua inglese (nel testo troverete l’indice degli articoli).

L’editoriale in particolare riflette sulle forme, l’intensità e le mancanze del ciclo di scioperi, ma lo colloca anche all’interno di una lettura di fase più ampia e propone delle ipotesi di iniziativa militante. Vale la lettura in particolare l’ultimo capitoletto che mette in relazione questi scioperi alla crisi climatica, l’inflazione e la “stagnazione tecnologica” anche se l’elemento della guerra capitalista è una variabile purtroppo taciuta. Sebbene si tratti di contesti molto diversi dal nostro, questo editoriale merita di essere diffuso perché pone dei problemi di metodo e di analisi che con le dovute differenze ci possono essere utili anche alle nostre latitudini. Buona lettura!


Dal 2008 le cose sono andate sempre peggio per i lavoratori, ma non ci sono stati molti scioperi. D’altra parte, dalla metà del 2022 il numero di giorni di sciopero è salito a un livello che non si vedeva dal 1989.

Questa azione di sciopero, per quanto impressionante, ha i suoi difetti. È stata avviata dai segretari generali dei sindacati e non dai lavoratori. Le tattiche utilizzate nelle vertenze sono state molto morbide e non hanno massimizzato il nostro potere. Le richieste politiche sollevate dalle vertenze sono state significative (soprattutto per quanto riguarda i finanziamenti pubblici), ma non sono state collegate a un movimento più ampio. Sembra abbastanza probabile che potremmo perdere molti degli scioperi in corso, poiché il governo e i datori di lavoro sono determinati a non cedere. Ma c’è anche una grande opportunità. In questo momento, possiamo ricostruire le reti dei rappresentanti dei lavoratori. Queste reti possono prendere il controllo degli scioperi e iniziare a risolvere i problemi. Questa ondata di scioperi è un’anticipazione di come sarà la lotta di classe nel prossimo decennio. Dovremo lottare ancora e ancora per fermare i tagli ai salari in termini reali. Ma ora che sappiamo che questo è il modello che probabilmente affronteremo, possiamo organizzarci e prepararci.

In mezzo all’oscurità

La Gran Bretagna è una società in decadenza. Dal 2008, un graduale processo di declino post-imperiale si è accelerato in qualcosa di più drammatico. L’economia è ora definita dalla stagnazione dei salari reali, dall’intensificazione del lavoro, dall’indebolimento delle tutele occupazionali, dalla massiccia espansione della precarietà e dall’ulteriore consolidamento di un modello di lavoro a basso salario e bassa produttività nel settore dei servizi.

Anche la società in generale ha subito un duro colpo. L’austerità ha gettato milioni di persone nella povertà, ha dato il via al declino gestito dei servizi pubblici e alla cannibalizzazione delle infrastrutture sociali. Un numero sempre maggiore di persone si trova ad affrontare il declino del proprio tenore di vita, compresi coloro che prima pensavano di essere al sicuro. Lo Stato ha assunto una forma sempre più autoritaria, come dimostra il graduale aumento della repressione di scioperi e proteste. Questo fenomeno è iniziato con la repressione aggressiva dei movimenti studenteschi e anti-austerity e si è poi intensificato con una serie di nuove leggi contro gli scioperi e le proteste e con l’implacabile persecuzione dei migranti disperati.

Ogni ambito della nostra vita quotidiana porta i segni di un brutale attacco della classe dominante durato 15 anni, a sua volta costruito sull’assalto neoliberale che ha distrutto il compromesso del dopoguerra. Osservando i danni dalla prospettiva attuale, si ha l’impressione che viviamo in una democrazia gestita che traballa sulle sue fondamenta sempre più marce.

Ma in mezzo all’oscurità, qualcosa sta accadendo. Di fronte all’aumento dell’inflazione e alla minaccia di diffusi tagli ai salari reali, centinaia di migliaia di lavoratori hanno intrapreso azioni di sciopero. Il numero degli scioperi, che è rimasto stagnante per decenni, è salito a livelli che non si vedevano dall’inverno del 1989/90. Questo numero presenta il punto di vista dei lavoratori che si sono trovati in prima linea in questa nuova ondata di scioperi.

In Class Struggle and Recomposition at the Royal Mail, un lavoratore postale in sciopero riflette sull’attuale vertenza nazionale, sul degrado dei legami sociali sul posto di lavoro e sulla necessità di ricostruire una militanza fiduciosa sul posto di lavoro.

In Striking as a Nurse: Story from a first-time striker, un’infermiera racconta la sua esperienza con l’attuale sciopero e come questo si sia inserito nel suo più ampio percorso di politicizzazione.

In The NEU strike – winning a rank-and-file led union, Vik Chechi-Ribeiro, insegnante e rappresentante del NEU (National Education Union, ndt), illustra i retroscena dell’azione di sciopero nazionale in corso nelle scuole e le opportunità di utilizzare questa vertenza per ricostruire un gruppo di lavoratori nel settore dell’istruzione.

In Struggles on the Railways ascoltiamo un lavoratore nella produzione specializzata di treni, che illustra le dinamiche di quell’industria e come sono arrivate a plasmare lo stato attuale delle lotte sindacali e di base.

In The University Strikes, as seen from Birkbeck Library, un membro dell’UNISON (ndt sindacato dei servizi pubblici, il più grande in Gran Bretagna) di Birkbeck ci illustra le loro attuali vertenze locali e nazionali e la loro evoluzione come forza lavoro industriale.

In UCU and the University Worker: Experiments with a bulletin, un gruppo di lavoratori associati al bollettino “University Worker” riflette sulle vertenze nel settore dal 2018 e su come la loro esperienza di produzione di un bollettino di sciopero abbia permesso loro di contribuire alla costruzione di una base indipendente all’interno del sindacato.

Nel loro insieme, questi contributi tracciano alcuni dei contorni principali delle vertenze in corso e presentano il modo in cui i lavoratori – da attivisti sindacali veterani a scioperanti alle prime armi – hanno interpretato le loro esperienze nei picchetti. Nel resto di questo editoriale ci soffermeremo su tre ulteriori questioni: quante azioni di sciopero ci sono state, che forma hanno assunto e quali sono le implicazioni per la nostra analisi più ampia.

Quante azioni di sciopero?

Dal nostro punto di vista odierno, è facile dimenticare quanto sia stato profondo il recente calo delle azioni di sciopero. Tra il 2008 e oggi il numero totale di occupati nel Regno Unito è variato tra i 29 e i 33 milioni. In otto mesi distinti di questo periodo, l’Office for National Statistics ha registrato meno di 2.000 giorni lavorativi persi per sciopero in tutto il Paese (sarebbero quasi certamente di più, ma hanno interrotto la raccolta dei dati durante la pandemia COVID-19). Questo livello di sciopero è quasi estremamente basso. Per contestualizzare, ipotizzando una media per il periodo di 22 giorni lavorativi al mese e circa 31 milioni di persone occupate, ci sono 682.000.000 di giorni lavorativi totali al mese. 2.000 giorni persi per sciopero equivalgono ad appena lo 0,00029% del totale dei giorni lavorati. Questo declino verso livelli di azione trascurabili ha proseguito una lunga tendenza storica, che ha visto i livelli di azione dei lavoratori in termini assoluti precipitare, anche quando le dimensioni della forza lavoro complessiva sono cresciute.

Il periodo successivo al 2008 ha avuto alcuni punti di forza. Nel novembre 2011, durante lo sciopero delle pensioni del settore pubblico, sono state perse quasi un milione di giornate. Ma si è trattato di uno sciopero dimostrativo di un solo giorno che non ha avuto un impatto duraturo. Nel complesso, la combinazione di austerità e del peggior decennio di crescita dei salari in termini reali dagli albori del XIX secolo non ha incontrato la resistenza organizzata del movimento sindacale.

Questa ricostruzione storica è un contesto essenziale per la recente esplosione. I numeri dei giorni persi nel 2022 sono impressionanti: 357.000 in agosto, 422.000 in ottobre, 461.000 in novembre e 843.000 in dicembre. L’aspetto più notevole di questo aumento, tuttavia, è la sua natura sostenuta. Non si tratta di un picco di un solo mese, ma di un aumento costante del livello di azione per molti mesi. Ciò risulta più chiaro se si considera la media mobile di tre mesi dei giorni di lavoro persi:

I tre mesi fino al dicembre 2022 sono la prima volta che la media mobile dei giorni persi per sciopero supera il mezzo milione dall’inverno 1989/90, quando Margret Thatcher si stava avvicinando alla fine del suo mandato di primo ministro e il movimento Anti-Poll Tax era al suo apice. Non si tratta di azioni sporadiche, ma di azioni sostenute, diffuse e coordinate.

Inoltre, stiamo assistendo a un vero e proprio cambiamento nella divisione tra scioperi nel settore privato e in quello pubblico. Mentre la maggior parte dei pur bassi livelli di sciopero del periodo successivo al 2008 si sono concentrati nel settore pubblico, gli scioperi del settore privato stanno contribuendo sempre più alla maggior parte delle giornate perse.

Questa tendenza è stata senza dubbio determinata dalle azioni molto significative intraprese dalla CWU (Communication Workers Union, ndt) nel servizio postale, ora privato, e da RMT (National Union of Rail, Maritime and Transport Workers, ndt) e ASLEF (sindacato dei macchinisti, ndt) contro gli operatori ferroviari privati. Potrebbero esserci anche altre cause, ma l’ONS (Ufficio Nazionale di Statistica britannico, ndt) ha smesso di raccogliere i dati relativi alla ripartizione di queste azioni per settore. Per il momento, quindi, dobbiamo lasciare aperta la questione della distribuzione di queste azioni nel settore privato.

Che tipo di sciopero?

In tutti gli articoli raccolti in questo numero, emergono sempre alcuni temi comuni. In primo luogo, l’assenza di controllo da parte dei lavoratori sulle vertenze. In secondo luogo, le tattiche moderate messe in atto dai lavoratori, spesso a fronte di provocazioni e vittimizzazioni estremamente aggressive da parte del management. In terzo luogo, l’esistenza di richieste politiche morbide sul finanziamento dei servizi pubblici e il sostegno di queste richieste e dei lavoratori che le avanzano tra la popolazione in generale. Quarto, la mancanza di un movimento politico che esprimesse le motivazioni dello sciopero a livello di politica borghese o attraverso i movimenti sociali. Quinto e ultimo, il difficile equilibrio di forze che i lavoratori in sciopero dovevano affrontare in tutte le industrie. Collegando molti casi diversi di inchiesta, possiamo iniziare a delineare un quadro generale del tipo di scioperi che hanno costituito questa grande ondata. Come in tutti gli scritti di carattere operaio, ci viene data un’idea delle lotte sul campo. Questi non sono filtrati da media ostili o smussati dalle comunicazioni sindacali, e quindi includono le reali tensioni e possibilità contenute in questa ondata di scioperi.

L’assenza di controllo da parte dei lavoratori

In quasi tutti i casi più importanti, queste vertenze sono state avviate dai vertici sindacali. Lungi dall’essere provocati da richieste dei lavoratori, questi scioperi sono stati avviati dai segretari generali. Essi cercano di anticipare la crescente militanza e di dimostrare la loro capacità di ottenere aumenti salariali a fronte di un’inflazione significativa. Se da un lato non dobbiamo condannare i leader sindacali per aver preso l’iniziativa, dall’altro è fondamentale capire che, piuttosto che lanciare scioperi perché “è quello che fanno i sindacati”, essi stanno in realtà portando avanti i loro interessi specifici come gruppo (interessi che sono distinti da quelli dei lavoratori). Se gli scioperi non servono più ai loro scopi, saranno altrettanto rapidi a smettere di lanciare gli scrutini, a meno che non ci sia una maggiore pressione da parte dei lavoratori.

Per questo motivo, la particolare mancanza di organizzazione di base dei lavoratori in queste vertenze dovrebbe essere fonte di preoccupazione. In molte delle principali realtà lavorative esistono reti di rappresentanti sindacali, ma nessuna è stata ancora in grado di definire la direzione o le richieste dei loro scioperi. I cicli di militanza sindacale emersi negli anni ’10 e ’70 sono stati entrambi accompagnati dalla crescita di movimenti di delegati sindacali costruiti su comitati di lavoro. Questi riunivano tutti i rappresentanti sul posto di lavoro (indipendentemente dal fatto che appartenessero a sindacati diversi). A questi si aggiunsero “combinazioni” più ampie che collegavano i lavoratori della stessa azienda, città, industria o sindacato. Questi organismi indipendenti erano in grado di sottoporre i dirigenti sindacali a un’immensa pressione, cercando di guidare le vertenze dal basso verso l’alto. Inoltre, hanno svolto un ruolo fondamentale nel far circolare le conoscenze su come organizzarsi e lottare nelle circostanze specifiche che dovevano affrontare sul campo. La mancanza di tali istituzioni costituisce un limite significativo sia all’efficacia degli scioperi attuali come tattica di negoziazione, sia alla loro capacità di contribuire a un movimento politico della classe operaia che mira a un cambiamento rivoluzionario.

Come si evince dall’articolo di The University Worker, il comportamento della dirigenza dell’UCU (University and College Union, ndt) è stato possibile solo grazie alla debolezza della base. Mentre il Comitato per l’istruzione superiore aveva inizialmente chiesto un’azione di sciopero a tempo indeterminato, la dirigenza è stata in grado di ignorarla e di indire un’azione molto più limitata. La combinazione di una strategia basata sulla comunicazione, con un “leader carismatico” e sondaggi di massa via e-mail, è stata utilizzata per indebolire gli attivisti sul campo poche settimane prima dell’inizio dell’azione. A metà dello sciopero, la dirigenza sindacale ha destituito i negoziatori eletti e ha sospeso l’azione di sciopero per due settimane, dopo aver fallito nell’ottenere qualsiasi tipo di accordo concreto. Anche in questo caso hanno aggirato le strutture rappresentative del sindacato e poi hanno utilizzato una votazione via e-mail truccata per cercare di ottenere un sostegno retroattivo per un accordo antidemocratico. La risposta del datore di lavoro è stata quella di dichiarare concluse le trattative salariali e di imporre un’offerta salariale molto al di sotto dell’inflazione, già rifiutata dagli iscritti. Il sindacato è stato lasciato smobilitato nel bel mezzo di una nuova votazione, senza la possibilità di ripristinare le giornate di sciopero annullate a causa delle leggi sindacali repressive del governo. Tutto questo non sarebbe accaduto se le reti di rappresentanza avessero potuto dettare le condizioni alla dirigenza.

In questo contesto, il nostro ruolo di militanti sembra chiaro: dobbiamo costruire la base. Possiamo farlo in tre modi. In primo luogo, cercando di collegare i rappresentanti all’interno e tra i luoghi di lavoro. In secondo luogo, identificando come espandere queste reti sviluppando i rappresentanti nel tempo. In terzo luogo, diffondendo le conoscenze su come organizzarsi e lottare e impegnandosi con altri rappresentanti per discutere e perfezionare le nostre idee e strategie politiche.

Tattiche moderate di fronte all’aggressività della dirigenza

Una volta un militante francese della sinistra radicale ha parlato con uno di noi dei suoi ricordi giovanili dell’Inghilterra. Disse che era solito arrivare in traghetto con i suoi compagni e dirigersi direttamente al grande sciopero più vicino. Lì offrivano la loro assistenza ai delegati sindacali e il più delle volte ricevevano un compito utile da svolgere nel cuore della notte. «Ah», ricordava, «gli inglesi sapevano davvero cosa significasse un picchetto. È ancora così?». La risposta lo deluse.

Oggi non è raro che i picchetti si riducano a un piccolo gruppo di sei persone con giubbotti hi-vis (alta visibilità, ndt) ufficiali. I crumiri possono attraversare i picchetti senza disagio e il tono è calmo, amichevole, simpatico – forse anche cauto nel causare un inconveniente. Troppo spesso queste manifestazioni vengono viste come attività dimostrative, piuttosto che come attività di disturbo. Gli scioperanti sono lì per dimostrare ciò in cui credono, non per bloccare il loro posto di lavoro.

Questo declino del potere di base dei lavoratori non è forse sorprendente, dato il contesto di bassi livelli di sciopero sindacale e di repressione da parte dello Stato, ma rappresenta comunque un problema importante. I picchetti dovrebbero essere attivamente dedicati alla chiusura del posto di lavoro (come sostiene Vik Chechi-Ribero nel suo articolo, «i picchetti dovrebbero essere effettivamente picchettati»), le tattiche di influenza (sviluppate ad alto livello da Unite1) dovrebbero essere impiegate ovunque possibile e i gruppi esterni dovrebbero impegnarsi in azioni dirette di sostegno. Tutto ciò non è stato abbastanza diffuso da renderci fiduciosi che le azioni di sciopero intraprese da molti siano utilizzate per ottenere il massimo effetto. In parte, sembra che il movimento sindacale britannico sia diventato eccessivamente educato. Forse a causa delle minacce poste dalla stampa di estrema destra più rabbiosa d’Europa e da un governo di destra dura che non batterebbe ciglio nel sequestrare le casse dei sindacati, molti di questi scioperi sembrano essere tatticamente miti.

I nostri padroni non hanno bisogno di gentilezza. La Royal Mail ha attaccato senza sosta la CWU sui media e ha portato la sua lunga campagna di vittimizzazione dei rappresentanti a nuovi livelli, con almeno 200 sospesi. Come spiega un lavoratore postale in Class Struggle and Recomposition at the Royal Mail, si tratta di un tentativo consapevole di minare il morale dei lavoratori e di destabilizzarli in vista dello sciopero. Anche le università hanno aumentato le detrazioni salariali, alcune minacciando di prelevare il 100% del salario ogni giorno fino a quando non avessero recuperato gli insegnamenti mancanti per lo sciopero. Senza dubbio ci sono altri esempi provenienti da altri settori che dimostrano quanto seriamente i padroni stiano prendendo questa lotta.

Da parte dei lavoratori, ci sono stati pochi esempi di tattiche più forti da segnalare. Lo sciopero della Royal Mail ha visto il blocco di alcuni furgoni delle agenzie di crumiraggio nei giorni di sciopero, ma questo è avvenuto quasi esclusivamente da parte dei sostenitori piuttosto che degli stessi lavoratori in sciopero. Inoltre, non si tratta di una forma di azione generalizzata. La manifestazione congiunta NEU/PCS/UCU/Equity a Londra a febbraio è stata rumorosa e vibrante, ma alla fine è stata solo una manifestazione A-to-B («una passeggiata» potremmo definirla dalle nostre parti, ndt). Se vogliamo vincere, dovremo intensificare le nostre tattiche.

Richieste politiche morbide e sostegno popolare

Quando i lavoratori del settore pubblico (che in ultima analisi sono impiegati dallo Stato) scioperano, le loro richieste sconfinano nella politica quasi per caso. Le richieste sulle condizioni di lavoro nelle scuole e negli ospedali possono facilmente trasformarsi in dibattiti sui finanziamenti all’istruzione e alla sanità. Ad esempio, le manifestazioni del NEU e dell’RCN sono state entrambe caratterizzate da cartelli con slogan che chiedevano non solo aumenti salariali, ma anche aumenti dei finanziamenti al sistema nel suo complesso. Queste richieste iniziano sul posto di lavoro. Dopo tutto, sarebbe meno stressante e alienante lavorare in un sistema adeguatamente finanziato. Tuttavia, hanno anche profonde implicazioni per coloro che, al di fuori del mondo del lavoro, si affidano a questi servizi come studenti, pazienti, genitori e assistenti. Vale la pena ricordare che non si tratta di richieste radicali. Si tratta di tornare allo stato sociale del passato, di riconquistare qualcosa che abbiamo perso piuttosto che lottare per un nuovo tipo di società.

Gli scioperi del settore pubblico godono di un sorprendente livello di simpatia da parte dell’opinione pubblica. In parte potrebbe essere un’eredità dell’idea del “lavoratore chiave” che è diventata così popolare durante la pandemia. Gli ultimi sondaggi mostrano un ampio sostegno ai lavoratori in sciopero: Il 57% sostiene gli infermieri (contro il 31% di contrari), il 52% gli operatori delle ambulanze (contro il 35% di contrari), il 40% gli insegnanti della scuola primaria (contro il 43% di contrari) e il 38% i ferrovieri (contro il 46% di contrari). Dopo mesi di azione, questo livello di sostegno è notevole. Tuttavia, questo livello di sostegno non si è trasformato in un movimento sociale per sostenere attivamente gli scioperi.

Mancanza di espressione politica e di sostegno dei movimenti sociali

Non sorprende che il partito laburista, sotto la guida di Keir Starmer, abbia dato scarso sostegno politico ai lavoratori in sciopero. Dal 2020 in poi il partito si è spostato fortemente a destra e ha epurato sia Corbyn che molti dei membri associati alla sua leadership. Le richieste molto blande di finanziare adeguatamente scuole e ospedali non sono sostenute nemmeno dall’opposizione. Le richieste di questi scioperi non hanno grandi sostenitori nelle Camere del Parlamento. Ma non c’è nemmeno un forte movimento sociale dietro di loro.

Enough is Enough – un movimento avviato dall’alto dai vertici sindacali di RMT, CWU, ACORN (un sindacato “di comunità”, ndt), dalla rivista Tribune e da alcuni parlamentari della sinistra laburista – è stato lanciato come tentativo di colmare questo vuoto. È iniziato con una serie di comizi in tutto il paese, in cui i membri del pubblico sono stati invitati a sedersi e ad ascoltare i discorsi che descrivevano come avremmo combattuto e vinto. La campagna è stata concepita attorno a cinque richieste: un vero aumento salariale, il taglio delle bollette energetiche, la fine della povertà alimentare, case dignitose per tutti e la tassazione dei ricchi. Ma la strategia per la conquista di queste richieste è sempre stata poco chiara, e una volta che le manifestazioni si sono spente non c’è stato molto da fare per i partecipanti, a parte una serie di manifestazioni locali in ottobre. L’ultima attività sembra essere la creazione di una petizione per opporsi all’ultima legge sui sindacati, che finora ha raccolto 10.000 firme. Nonostante il legame con i sindacati, la capacità di mobilitazione del movimento è diminuita, al punto che ora assomiglia a un’altra People’s Assembly Against Austerity (una organizzazione nata nel 2013 contro le politiche di austerità post crisi del 2008, ndt). Alcuni critici hanno suggerito che lo scopo della campagna è sempre stato quello di assorbire l’energia scatenata dalla crisi del costo della vita e di proteggere la posizione della sinistra consolidata da qualsiasi movimento insurrezionale proveniente dall’esterno delle tradizionali istituzioni del lavoro.

Più efficaci sono state le reti di sostegno allo sciopero nate spontaneamente in molte aree. Strutturate intorno a gruppi WhatsApp e facilitate dalle informazioni sui picchetti rese disponibili tramite Strike Map2, queste reti si sono basate sulle reti di attivisti esistenti e hanno portato i lavoratori a sostenere le reciproche vertenze. Tuttavia, questi gruppi non si sono riuniti per creare strutture di movimento o richieste coerenti.

Anche la campagna Don’t Pay, nata per combattere gli aumenti dei prezzi dell’energia, ha avuto momenti emozionanti. Le richieste chiare della campagna, l’efficace teoria del cambiamento (uno sciopero delle bollette energetiche a partire dal momento in cui 1 milione di persone si sono iscritte) e l’intelligente convogliamento delle adesioni al sito web nei gruppi di organizzazione dei codici di avviamento postale hanno portato a un periodo di rapida crescita che la ha fatto uscire dalla bolla della sinistra e ha minacciato di mettere davvero a dura prova le compagnie energetiche. Ma dopo che il governo Truss, in parte a causa delle pressioni esercitate da gruppi come Don’t Pay, ha fatto concessioni reali sui prezzi dell’energia3, non è riuscito a riorientarsi strategicamente, andando così a sbattere contro un muro di mattoni4. Di conseguenza, il potenziale incrocio di picchetti e proteste anti-bolletta che avrebbe potuto essere così promettente non si è mai concretizzato.

Nel complesso, la sinistra ufficiale è stata fondamentalmente incapace di articolare le richieste degli scioperanti a livello politico. L’epurazione della sinistra dal Partito Laburista non ha portato a un punto di riferimento stabile a cui questi attivisti possano guardare per una leadership politica. In questo contesto, non dovrebbe sorprendere che figure pubbliche siano diventate un punto di riferimento, come Mick Lynch (leader sindacale dei ferrovieri, ndt) – le cui apparizioni televisive si sono distinte nel mezzo di un panorama mediatico altrimenti quasi universalmente reazionario.

Un difficile equilibrio di forze

In apparenza, il bilancio dei recenti scioperi non sembra positivo. Non abbiamo ancora visto come si presenta una vittoria nazionale. Si registra un numero crescente di accordi negativi, con i sindacati che si accontentano di aumenti salariali molto inferiori all’inflazione. Il bilancio delle forze che gli scioperanti devono affrontare sembra finora sfavorevole. La vertenza ferroviaria che ha dato il via a questa ondata non è ancora stata risolta, anche se la risoluzione degli scioperi sarebbe stata più economica per il governo. Ci sono state molte vertenze minori che si sono concluse con risultati positivi, ma nessuna grande vittoria a cui fare riferimento. Ancora più importante è il fatto che l’orizzonte della “vittoria” sembra ora essere saldamente limitato agli aumenti salariali – l’idea di una vittoria politica più grande che ottenga qualcosa di significativo per l’intera classe sembra lontana. Esiste la possibilità che questa rivitalizzazione del movimento sindacale sfoci in una serie di lotte lunghe e molto difficili. Potrebbe finire con i sindacati che si vendono per accordi di merda, o con scioperi incessanti anno dopo anno con poco da dimostrare.

Ma nonostante questo equilibrio di potere sfavorevole, la minaccia della classe operaia è profonda. Qualunque sia il terreno, c’è sempre la possibilità che accada qualcosa. Potrebbe trattarsi della creazione di un nuovo strato di militanti di base con esperienza in materia di organizzazione e sciopero, oppure di qualcosa di più drammatico. Dobbiamo tenere gli occhi aperti per capire cosa potrebbe essere questo qualcosa.

Quali sono le implicazioni?

Le vertenze sono tutt’altro che concluse. Le giornate di sciopero si susseguono e nessuno sa esattamente cosa succederà. Ma se è impossibile prevedere con precisione il corso della lotta, possiamo fare due cose utili. In primo luogo, possiamo individuare quali interventi potrebbero essere fatti in questa lotta per cercare di aumentare il potenziale politico dell’ondata di scioperi. In secondo luogo, possiamo riflettere su ciò che questa improvvisa ondata di azioni potrebbe dirci su quali modelli di lotta emergono dalla nostra composizione di classe contemporanea.

Sviluppo della base

La più grande opportunità politica offerta da questi scioperi è la possibilità di costruire reti di base tra i lavoratori in sciopero. Nei nostri luoghi di lavoro e nelle nostre città, aziende, industrie e sindacati, possiamo iniziare a costruire connessioni tra i rappresentanti che costituiscano la base per un movimento operaio più potente e politico.

La struttura e l’attività di queste reti dovrebbero essere relativamente semplici:

  • La natura di ogni rete operaia varia a seconda di come viene definita dai lavoratori che la avviano. Tutte dovrebbero riunire rappresentanti e delegati sindacali, ma possono farlo secondo linee diverse. Un esempio potrebbe essere una rete sul posto di lavoro che collega tutti i rappresentanti in un singolo sito di lavoro, indipendentemente dal ruolo e dal sindacato. Altre potrebbero essere una rete aziendale che collega i rappresentanti di tutto il paese, una rete cittadina o regionale che riunisce i rappresentanti di tutti i luoghi di lavoro di un’area geografica, una rete di settore che collega i rappresentanti dello stesso settore e così via. Ognuna di queste forme sarà in grado di raggiungere obiettivi diversi e di influenzare l’attività sindacale in modi diversi.

  • I gruppi WhatsApp possono essere un utile punto di partenza per sviluppare queste connessioni. Tutti noi abbiamo gruppi che possono creare una base iniziale per l’organizzazione, in cui discutiamo di problemi sul lavoro con altri lavoratori di cui ci fidiamo, o anche semplicemente organizziamo serate fuori per sfogarci contro il capo. Ma è fondamentale non fermarsi una volta compiuti i primi passi. La mappatura del luogo di lavoro/industria/area/sindacato dovrebbe indicare dove la rete è forte e debole. Le visite ai picchetti e le semplici conversazioni a tu per tu possono far crescere ulteriormente la rete.

  • Queste reti non possono limitarsi a WhatsApp e ad altre piattaforme online: le riunioni gestite democraticamente sono essenziali per costruire una comprensione e una fiducia reciproche più profonde, pianificando al contempo il lavoro più difficile di condivisione di idee e competenze, di discussione della strategia, di pianificazione delle escalation, con l’obiettivo di capire come fare pressione sui capi e sulla burocrazia sindacale.

  • I gruppi di base possono utilizzare i bollettini per creare ulteriori connessioni e diffondere idee. I bollettini di sciopero hanno un ruolo particolare nell’aggiornare le file sindacali sui progressi della vertenza.

  • La natura di una rete di base significa che tenderà ad attrarre gli attivisti più impegnati sul posto di lavoro, ma questo non dovrebbe impedirvi di reclutare lavoratori meno esperti, in particolare dai luoghi di lavoro senza una struttura di rappresentanza consolidata. Il coinvolgimento in reti più ampie può aiutarli a sviluppare le loro competenze.

  • Una rete di base non è la stessa cosa di una fazione che mira a condurre campagne elettorali per posizioni burocratiche. Non è questo l’obiettivo finale dell’organizzazione sindacale. La vostra rete dovrebbe essere aperta a persone provenienti da diverse fazioni sindacali, se esistono, purché accettino la necessità di un’organizzazione di base e si impegnino a rispettare la democrazia della rete di base.

  • Dovremmo ispirarci a organizzazioni come il Clyde Workers Committee, costituitosi durante la Prima guerra mondiale, che sosteneva che: «Sosterremo i funzionari fintanto che rappresenteranno correttamente i lavoratori, ma agiremo in modo indipendente, immediatamente, se li rappresenteranno in modo errato. Essendo composti da delegati di ogni azienda, e non essendo vincolati da regole o leggi obsolete, pretendiamo di rappresentare il vero sentimento dei lavoratori. Possiamo agire immediatamente in base al merito del caso e al desiderio dei lavoratori»5.

  • Questo momento è un’occasione privilegiata per attuare una strategia di agitazione. Ciò significa che, in unità con altri lavoratori, si può arrivare a scontrarsi con i nostri padroni, e poi cercare di spingere la vertenza fino a dove può arrivare politicamente. La speranza è che si possa passare dalle piccole vertenze su quanto veniamo pagati a lotte più grandi sull’organizzazione della società. Discuteremo meglio la questione dell’agitazione nei prossimi numeri. Se riusciamo a costruire rapidamente queste reti, esse potrebbero iniziare a sfidare le leadership sindacali per il controllo dal basso dell’ondata di scioperi. Nei sindacati in cui c’è più spazio democratico, potrebbe esserci più cooperazione da parte della burocrazia. Altrove, i rapporti con il personale e i dirigenti sindacali possono essere più combattivi. Gli organismi indipendenti di base possono spingere per un’escalation tattica e, se riuniti su scala più ampia, potrebbero persino iniziare a rappresentare le richieste politiche degli scioperanti indipendentemente dal movimento sindacale ufficiale. In breve, potrebbero cambiare completamente il carattere di questa ondata di scioperi. È chiaro che al momento siamo molto lontani da questo. Come discusso in precedenza, le file dei lavoratori non hanno ancora stabilito il controllo su nessuna delle principali vertenze in corso. Ma qualsiasi movimento in questa direzione sarebbe un importante passo avanti per la lotta di classe in Gran Bretagna, anche se le vertenze in cui emergono si concludono con uno stallo o una sconfitta.

Un nuovo modello: Lotta di classe in un pianeta che si surriscalda

La ricerca del profitto ci ha portato dalle prime enclosures delle terre comuni al precipizio del disastro ambientale. Oggi, la spinta all’accumulo di capitale è diventata una spinta alla morte, mentre la nostra società precipita a testa bassa verso almeno due gradi di riscaldamento in questo secolo. È sempre più chiaro che l’esperienza del collasso che ne deriverà sarà definita da un’incessante pressione al ribasso sulla qualità della vita, punteggiata da crisi su crisi. Aumenteranno gli eventi meteorologici estremi, le migrazioni di massa, lo spillover di nuove malattie dagli animali all’uomo e l’emergere di nuovi imprevedibili conflitti sociali. L’apparente coerenza del “business as usual” sarà interrotta da guasti alla produzione e alla logistica in tutto il mondo. Queste interruzioni possono essere inizialmente brevi e periferiche, ma diventeranno sempre più prolungate e destabilizzanti. Di conseguenza, è probabile che si verifichino nuove lotte per il consumo, in quanto i lavoratori non organizzati e i settori della classe con una leva limitata sul posto di lavoro si troveranno ad affrontare ostacoli reali e seri alla loro sopravvivenza.

In questo senso, gli eventi dall’inizio del 2020 a oggi ci danno un’idea di come potrebbe essere la vita nei decenni a venire. Gli scioperi attuali sono una risposta al costante aumento dei prezzi dei prodotti di base, una tendenza che probabilmente persisterà man mano che i risparmi sui costi associati ai sistemi di produzione snella e alla globalizzazione saranno contrastati da un crescente danno ecologico. Questo è stato un argomento di discussione d’élite al recente World Economic Forum di Davos6, dove i grandi capitalisti manifatturieri hanno sottolineato la necessità di una trasformazione pluriennale delle catene di approvvigionamento per aumentare la resilienza. Blackrock, il più grande gestore patrimoniale del mondo, concorda con questo approccio. La loro previsione per il 2023 è di un futuro caratterizzato da “brutali compromessi” e da livelli di inflazione permanentemente elevati, che rimarranno alti a meno che le banche centrali non aumentino i tassi di interesse a livelli straordinari e provochino gravi recessioni.

Ma questo costante aumento dei prezzi potrebbe essere attutito dall’aumento dei salari? Se i lavoratori ricevono forti aumenti salariali, non dovrebbe importare se i prezzi dei prodotti alimentari aumentano del 17% all’anno. Tuttavia, tali aumenti salariali dovrebbero essere finanziati da un aumento della quantità complessiva di valore prodotto dall’economia, oppure da una riduzione della quota di valore pagata al capitale sotto forma di profitti. Tra poco ci occuperemo della seconda possibilità, ma prima è essenziale capire che un ritorno a lungo termine a una crescita significativa del PIL sembra un’eventualità sempre più remota. Il Fondo Monetario Internazionale prevede che l’economia del Regno Unito si ridurrà del -0,6% nel 2023 in una recessione a breve termine, ma anche le prospettive di crescita a lungo termine sembrano poco rosee. Le economie deindustrializzate e pesanti dal punto di vista dei servizi sembrano fondamentalmente incapaci di produrre aumenti significativi della produttività del lavoro. La storia del capitalismo è stata una storia di innovazioni incessanti: la divisione del lavoro, la filanda, la fabbrica a vapore, la catena di montaggio, la containerizzazione – possiamo raccontare la storia del sistema attraverso i nomi delle innovazioni impiegate contro la classe operaia. Ma ora il cambiamento tecnologico è lento. La rivoluzione informatica è notoriamente visibile “ovunque, ma non nelle statistiche sulla produttività”. La gestione algoritmica, il grande sviluppo tecnologico del capitalismo delle piattaforme, fa poco per aumentare la produttività del lavoro. Al contrario, automatizza soprattutto il lavoro improduttivo di supervisione, risparmiando sui costi e facendo sudare il lavoro un po’ di più. Stiamo vivendo un momento straordinario, con un processo simultaneo di disgregazione ecologica, stagnazione tecnologica e stagnazione economica diffusa, che potrebbe portare a un’estrema instabilità. Le speranze dei governi e dei loro pappagalli mediatici che le cose tornino presto “alla normalità” non potrebbero essere più mal riposte.

Quindi, per passare alla seconda opzione, il capitale ridurrà volentieri i propri profitti per sostenere la qualità della vita dei lavoratori? La risposta è ovviamente no. Se nell’economia c’è una somma di valore statica e i prezzi aumentano, allora o il lavoro o il capitale dovranno sopportare il dolore, e nessuno dei due lo farà volontariamente. Il modello di lotta di classe in un pianeta che si riscalda sarà un conflitto distributivo a somma zero. Sebbene questo possa iniziare sul posto di lavoro, sarà punteggiato da occasionali lampi di intensificazione dell’attività – che si tratti di mutuo soccorso o di rivolte per il cibo – raggruppati intorno a crisi specifiche.

Per il movimento operaio, quindi, il prossimo futuro si prospetta come una serie di disperate battaglie difensive contro i tagli ai salari reali, in cui cercheremo di costringere i padroni a sostenere i costi dell’inflazione riducendo i loro profitti. Ma senza il sollievo di un ritorno alla crescita, questa lotta dovrà essere ripetuta ogni anno. Si prospetta un periodo di conflitto persistente. Di fronte a un ambiente così conflittuale, è probabile che i leader sindacali siano tentati di formare un compromesso sociale con un (probabile) governo Starmer nel 2024, anche se ha dimostrato di essere tutt’altro che affidabile. Ma nonostante la buona volontà di entrambi le parti, è difficile capire dove si possa trovare lo spazio per un compromesso. A differenza del periodo del Blairismo, un tasso di crescita di fondo costante del 4-6% sembra impossibile. Ciò significa che la redistribuzione comporterebbe necessariamente un prelievo da una classe per darlo a un’altra, non solo un rimescolamento del rapporto con cui viene distribuita la nuova ricchezza. Il Partito Laburista, ormai epurato da chiunque sia anche solo retoricamente impegno nel socialismo, non rischierà i suoi legami con la classe dirigente per compiacere i sindacalisti, anche se questi ultimi si lamentano ad alta voce alle conferenze del Partito Laburista. Qualsiasi compromesso sociale laburista-sindacale sarà probabilmente molto debole e dovrà affrontare pressioni immediate dall’alto e, con l’aumento della resistenza, dal basso. Di fronte all’escalation del conflitto sociale, è probabile che l’autoritarismo statale (di colore blu o rosso) limiti sempre più la libertà d’azione concessa dalla legge ai sindacati e ai movimenti sociali. È in queste circostanze che le reti di base che costruiamo ora possono diventare fondamentali.

Le vittorie del dopoguerra dell’operaio di massa sono state ottenute nelle industrie manifatturiere durante periodi di crescita significativa. Il loro contesto non potrebbe essere più diverso dal nostro. Anche i nostri slogan saranno diversi: mentre loro avevano “Vogliamo tutto”, il nostro sarà più probabilmente “Non un passo indietro”. L’argomentazione di cui sopra è solo un primo tentativo di comprendere i ritmi emergenti della lotta di classe in un pianeta che si sta riscaldando. La discussione più approfondita di questo compito strategico essenziale dovrà essere lasciata ai prossimi numeri. Tuttavia, ci sembra chiaro che questa ondata di vertenze definisce il modello di ciò che verrà. Il periodo degli scioperi a bassa intensità potrebbe volgere al termine, con una nuova generazione di militanti che si affaccia alla ribalta come leader di una classe operaia impegnata in disperate battaglie difensive in un contesto globale destabilizzato. In questo contesto, il potenziale di rapidi cambiamenti nell’equilibrio delle forze, sia positivi che negativi, non può essere sopravvalutato. È l’inizio di un’era di instabilità. Ma noi accogliamo con favore questa circostanza: dopo tutto, il vantaggio delle piccole forze è quello di poter superare i giganti ingombranti dello Stato e del capitale e di trarre vantaggio dal terreno. Come sosteneva il compianto Mike Davis, ci troviamo di fronte a un futuro disperato che minaccia la vita di miliardi di persone: «Contro questo futuro dobbiamo combattere come l’Armata Rossa tra le macerie di Stalingrado. Combattere con speranza, combattere senza speranza, ma combattere assolutamente»7.



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